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Confronto tra varie misure della distanza prossimale in optometria

A cura di IRSOO: dal lavoro di tesi del corso di Optometria di Giulia Giuntini, relatore Paolo Sostegni.

Molti addetti ai lavori nel campo della visione si son sempre chiesti se esista una possibile correlazione tra postura e visione.

Uno dei primi a parlare di questo argomento tanto diffuso fu Darrel Body Harmon, il quale scrisse alcuni lavori tra cui “The coordinated classroom” e “Notes on a dynamic theory of vision”, dopo aver effettuato numerosi studi su bambini di scuola elementare.

Egli comprese che postura e visione sono collegate e che, tutte le volte in cui dobbiamo svolgere un’attività di lettura o di scrittura da vicino, esercitiamo anche un certo “controllo posturale”. Per ottenere questo controllo vengono chiamati in causa vari sistemi del corpo umano tra cui: sistema muscolare, scheletrico, somato-sensoriale (legato al sistema nervoso), di coordinamento ed, infine, il sistema di rappresentazione interna propriocettiva (ovvero la capacità di percepire noi stessi nello spazio).

Harmon affermò che la quantità di informazioni provenienti dalle due retine favorisce un adeguato controllo posturale e un equilibrio del soggetto; al tempo stesso, una postura costante nel tempo permette di stimolare le retine nello stesso modo e quindi agevola la visione (Harmon, 1958). Spesso, però, problemi posturali possono dare origine a problemi visivi e, viceversa, difetti visivi possono portare all’assunzione di posture poco corrette (Mattioni, Miron, Mizzoni, 2004).

Dai suoi vari studi Harmon deduce che i soggetti astigmatici tendono ad inclinare e/o ruotare lateralmente la testa, i soggetti miopi la inclinano dietro, gli ipermetropi in avanti; i soggetti exoforici ruotano in alto le scapole, al contrario degli esoforici che le ruotano in basso (Harmon, 1958).Lo stesso Harmon affermò che esiste una distanza, detta “distanza di Harmon”, che i soggetti dovrebbero rispettare nello svolgimento delle attività prossimali per ridurre le problematiche visuo-posturali. Questa distanza può anche essere definita come “la distanza che permette la minima dispersione di energia necessaria ai muscoli per sopportare il peso della testa e del tronco, contro la forza di gravità” (Cobb, 1990). Per conoscere questa distanza, si deve misurare la lunghezza che vi è dal gomito alla prima falange del dito indice. Quindi, secondo Harmon, la condizione ideale per non avere affaticamento e problematiche funzionali è quella di svolgere l’attività di lettura o di scrittura da vicino, poggiando la testa sulla mano (chiusa a pugno) e il gomito sul piano di lavoro. E’ evidente come questo non accada quasi mai al giorno d’oggi, poiché gli apparecchi elettronici ci inducono ad effettuare le nostre attività prossimali ad una distanza inferiore a quella di Harmon.

Durante lo svolgimento delle attività da vicino i soggetti sporgono la testa e il tronco in avanti, producendo un dispendio energetico muscolare. Questa posizione, seppur sfavorevole, permette al soggetto di immergersi completamente nella lettura, escludendo gli stimoli periferici e aumentando il proprio coinvolgimento nel compito (Maffioletti, Pregliasco, Ruggeri, 2005). In queste attività da vicino entra in gioco un “meccanismo di bilanciamento del corpo e di orientamento riflesso” a causa del quale il gomito, la testa e la mano del soggetto tendono a descrivere un triangolo, inclinato di 20° rispetto al piano di lavoro (fig. 1).

Figura 1. Posizione ottimale di lettura.
Figura 2. Banco ergonomico.

A tal proposito è stato progettato un banco ergonomico (fig. 2) con un piano inclinato di 20° per permettere di mantenere il parallelismo tra il volto e il foglio scritto. Questo piano dovrebbe essere usato in tutti quegli ambienti in cui si svolgono lavori prossimali per lungo tempo, ad esempio uffici o scuole.

Molti ergonomisti ritengono, infatti, che i primi a dover rispettare un’adeguata postura siano proprio i bambini e gli adolescenti che, oltre a svolgere prolungate attività da vicino, sono ancora in fase di crescita e di sviluppo. Il mancato rispetto di tale postura potrebbe portare a problematiche oculari e fisiche (Maffioletti, Pregliasco, Ruggeri, 2005).

Nella tesi di Optometria di Giulia Giuntini, discussa presso l’IRSOO nella sessione del 30 settembre 2016, è stata messa in relazione la distanza di Harmon con le distanze soggettive assunte dall’individuo per svolgere i compiti prossimali.La distanza di Harmon è stata comparata con il Riflesso Visuo-Posturale (“Revip”), ovvero la distanza che il soggetto assume per leggere.

Da uno studio del 1997 (Sampedro, Andrés, Montalt, 1997) emerge che la distanza del Revip diminuisce all’aumentare dello sforzo richiesto. Ad esempio quando il soggetto ha difficoltà a comprendere la frase da leggere tende a tenere il testo più vicino a sé. In altre parole il Revip è tanto minore quanto più è stressante la situazione visiva. Il lavoro afferma anche che il Revip nell’attività di scrittura è minore rispetto a quello dell’attività di lettura; infine esso risulta essere inferiore nei soggetti miopi.

Come afferma Rossana Bardini (Bardini, 1989) un Revip ridotto può portare a problematiche di rendimento scolastico, in quanto il bambino non legge in maniera disinvolta, è lento e non comprende il testo. Tutte queste cause possono portare alla perdita di interesse nei confronti della scuola e dello studio.

Il secondo confronto è stato fatto con la Reflex Reading Distance (RRD). L’RRD è stata definita da Lagacé, nel 1987, come la distanza abituale di lettura, ovvero quella a cui un soggetto si posiziona per leggere un testo. Secondo Lagacé esistono 4 posture di lettura: ottimale, accettabile, inaccettabile e pessima. Ogni postura dipende dalla correlazione che c’è tra RRD e punto prossimo di convergenza. La peggiore è la postura “disastrosa o pessima”, che si ha quando l’RRD è minore della distanza di Harmon e anche del punto di rottura del punto prossimo di convergenza; invece, come è ovvio pensare, quando l’RRD coincide o, al massimo, supera di 2,5 centimetri la distanza di Harmon la postura di lettura è ottimale.

La postura del soggetto è, invece, accettabile quando l’RRD è inferiore alla distanza di Harmon ma superiore a quella di recupero del punto prossimo di convergenza; e si definisce inaccettabile quella in cui l’RRD è inferiore alla distanza di Harmon ma compresa tra il punto di recupero e quello di rottura del punto prossimo di convergenza.

La terza distanza messa a confronto nel lavoro di tesi di Giulia Giuntini è l’Habitual Writing Distance (HWD), cioè la distanza di scrittura. Uno studio svolto nel 1994 (Chiu, Rosenfield, Solan, 1994) afferma che la distanza di scrittura, a differenza di quella di lettura, non ha alcuna correlazione con l’altezza dell’individuo.

Anche per l’attività di scrittura entrano in gioco varie componenti tra cui l’elaborazione linguistica del testo, la codifica delle parole o la motricità fine delle dita; inoltre sono necessarie abilità visuo-motorie, visuo-percettive e visuo-spaziali. Quando una persona scrive è la visione a guidare e dirigere il movimento. Il bambino, che inizia a fare i suoi primi disegni, si crea la sua distanza di scrittura, che è lo spazio tra i suoi occhi e il foglio su cui scrive. Spesso questa distanza induce il soggetto ad assumere posizioni scorrette; è questo il motivo per il quale Harmon, negli anni 50, aveva rimarcato la necessità di utilizzare un piano di lavoro inclinato.

Anche l’impugnatura della penna può influire sulla distanza di scrittura. Se si ha la copertura parziale o totale di ciò che stiamo scrivendo il soggetto tenderà ad avvicinarsi al foglio. Gli esperti hanno definito “impugnatura ottimale” quella in cui la presa della penna è tra il pollice e l’indice, la prima falange del dito medio funge da appoggio e l’anulare ed il mignolo semi-piegati sono ad una distanza di circa 2 centimetri dalla punta della penna, per permettere di vedere ciò che si sta scrivendo (Dattola, 2009).

Lo studio di Giuntini ha analizzato la distanza di Harmon, l’altezza del soggetto, il Revip, l’RRD e la distanza di scrittura (HWD). Sono stati scelti pazienti non presbiti, con età compresa fra 19 e 31 anni, che hanno effettuato i test con la correzione abituale, per evitare l’influenza delle ametropie.
La sede delle misure è stata un’aula dell’Istituto di Ricerca e di Studi in Ottica e Optometria di Vinci, in cui è stata rilevata con il luxmetro una luminanza di 249 lux.

La distanza di Harmon è stata misurata dal gomito alla prima falange del dito indice, dopo aver piegato il braccio di 90° con le dita della mano tese verso l’alto. Per misurare il Riflesso Visuo-Posturale è stata utilizzata una versione modificata del test. Il soggetto è stato invitato a chiudere gli occhi e a stendere le braccia, tenendo tra le mani la tavola di Radner, per la lettura. Poi gli è stato chiesto di avvicinare il foglio fino alla distanza abituale di lettura e, prima di aprire gli occhi, l’operatore ha effettuato la misura. Possiamo affermare, quindi, che il soggetto si è basato sulla funzione mnemonica/percettiva e non su quella visiva.

Per l’RRD si è usato il test di Lagacé che, invece, impone di utilizzare una frase con un carattere di grandezza 0.37 M (Lagacé, 1987) e di misurare la distanza alla quale il lettore legge il testo. Giuntini, nella sua tesi, ha utilizzato la tavola di Radner con una frase di grandezza 0.4 M.

Come si può dedurre dal lavoro, solo pochi soggetti sono riusciti a leggere la frase senza spostare il testo. Gli altri tendevano ad avvicinare il testo e poi ad allontanarlo. Questo movimento era, probabilmente, dovuto alla grandezza ridotta del carattere che non ne permetteva la rapida lettura.
Infine, la distanza abituale di lettura (HWD) è stata misurata ponendo il soggetto davanti ad un foglio bianco e invitandolo ad assumere la sua abituale posizione di scrittura.

Per rendere più realistica la misurazione, inoltre, gli è stato chiesto di scrivere alcune parole sul foglio, mentre veniva effettuata la misura. Per la tesi è stata misurata anche l’altezza dei soggetti ed è stato chiesto loro con quale mano scrivessero. Per ogni distanza, eccetto per quella di Harmon, sono state effettuate tre misurazioni delle quali è stata ricavata la media, indicata in centimetri.

Nella prima colonna della tabella seguente (tab. 1) sono stati riportati i vari confronti, accanto vi è la differenza delle medie e i valori del test t di student. Nelle ultime due colonne è stata inserita l’equazione della retta di regressione del grafico a dispersione e il valore del coefficiente di Bravais-Pearson (R2). Per ogni confronto la differenza è stata effettuata sottraendo al primo valore il secondo, per cui una differenza negativa indica che il secondo valore confrontato ha riportato una media superiore rispetto al primo.

VALORI CONFRONTATI DIFFERENZA TEST t DI STUDENT RETTA DI REGRESSIONE R2
Harmon – Revip 9,46 cm p=2,80∙10 -17 y=0,528x+9,69 0,11
Harmon – HWD 4,75 cm p=6,90∙10 -6 y=-0,016x+36,46 6∙10-5
Revip – RRD 4,82 cm p=2,60∙10 -9 y=0,740x+3,24 0,39
Revip – HWD -4,71 cm p=4,10∙10 -5 y=0,374x+24,15 0,07
HWD – RRD 9,53 cm p=5,50∙10 -9 y=0,298x+15,57 0,11
Harmon – RRD 14,28 cm p=3,80∙10 -20 y=0,057x+23,94 0,001

 

Tabella 1. Confronto tra distanza di Harmon, Revip, RRD e HWD.

I valori di p minori di 0,01 confermano che l’ipotesi iniziale di una possibile correlazione tra le misure è nulla. Le differenze maggiori si hanno nel confronto tra distanza di Harmon e Revip e nel confronto tra distanza di Harmon ed RRD. In particolare si pensa che la discrepanza tra distanza di Harmon ed RRD sia dovuta al carattere troppo piccolo utilizzato per il test di Lagacé. Sarebbe interessante effettuare un nuovo confronto tra Harmon ed RRD, utilizzando una frase di carattere maggiore per vedere se ci può essere un allontanamento dell’RRD al variare della dimensione del testo.

Anche i valori di R2 mostrano l’esistenza di una scarso legame tra le misure. Una minima correlazione è presente solo in due confronti che sono di seguito riportati nella fig.3 e nella fig.4:

Fig. 3. Confronto tra Revip (cm) e RRD (cm).
Fig. 4. Confronto tra HWD (cm) ed RRD (cm).

Invece in tab. 2 si riportano la retta di regressione e il valore di R2 dei confronti tra l’altezza del soggetto e le varie distanze.

VALORI CONFRONTATI RETTA DI REGRESSIONE R2
Harmon – Altezza del soggetto y=2,830x+57,66 0,78
Revip – Altezza del soggetto y=0,711x+150,27 0,1202
Altezza del soggetto – RRD y=0,012x+24,07 0,0005
HWD – Altezza del soggetto y=0,06x+170,19 0,0016

 

Tabella 2. Confronto tra altezza del soggetto e distanza di Harmon, altezza e Revip, altezza e RRD, altezza e HWD.

In questo caso, guardando i valori di R2, si riscontra un forte legame tra la distanza di Harmon e l’altezza del soggetto. Questo è l’unico dato interessante anche se abbastanza scontato, poiché le persone più alte hanno una distanza maggiore tra gomito e prima falange del dito indice.

Dal lavoro di tesi emerge che vi è una assenza di correlazione tra le varie misure prese in considerazione. Si può notare, infatti, che anche nel confronto tra Revip ed RRD c’è uno scarso legame, nonostante si stia parlando comunque di due riflessi di lettura. E’ evidente che alla base dell’assunzione di tali posture vi siano altri fattori che portano il soggetto a non rispettare la famosa distanza di Harmon.

Questa distanza, che teoricamente secondo Harmon è la più confortevole, non viene mai rispettata dai soggetti che, invece, assumono posizioni poco ottimali, a discapito dell’apparato muscolare e scheletrico.
Come afferma Roncagli in un suo lavoro (Roncagli, 1990): “la postura ha anche dei legami con il nostro mondo interiore e rappresenta una componente del nostro comportamento. Questo è il motivo per il quale quando diventa abitudinalmente scorretta è difficile modificarla”.

In particolare dallo studio si può affermare che le persone tendono ad assumere una distanza di lettura o di scrittura sempre inferiore a quella di Harmon e questo è legato a posture ormai acquisite.

È importante, quindi, prevenire atteggiamenti posturali non corretti, che è difficile modificare quando ormai sono divenuti abitudini consolidate (Maffioletti, Pregliasco, Ruggeri, 2005).
Un ruolo fondamentale è quello dei genitori e degli insegnanti che devono educarci, sin da piccoli, ad assumere una corretta postura nelle attività prossimali. Questa postura potrebbe essere favorita dall’utilizzo del banco ergonomico, proposto da Harmon, la cui struttura permette una regolazione dell’inclinazione del piano di lavoro e dell’altezza della sedia, in funzione della persona.

BIBLIOGRAFIA
Bardini R (1989). Analisi e trattamento dei problemi visivi in Optometria Comportamentale. Societè d’Optometrie d’Europe, Bruxelles
Cobb S (1990). Harmon Revisited. Reprinted from OEP’s Advanced Therapist
Dattola S (2009). L’approccio positivo al punto prossimo. http://www.professionaloptometry.it
Harmon DB (1958). Notes on a dynamic theory of vision . Published by author, Austin, TX, 1958: 88-102
Lagace JP (1987). Behavioral analysis of the clinical findings. Behavioral optometry in action. Optometry Extension Program Foundation.
Maffioletti, Pregliasco, Ruggeri (2005). Il bambino e le abilità di lettura: il ruolo della visione. Franco Angeli, Milano
Mattioni M, Miron M, Mizzoni P (2014). Visione e postura: utilità della prevenzione in età scolare. Professional Optometry
Sampedro G, Montalt A, Juan C, Alemany, Antonio L (1997). Estudio del reflejo visuopostural; Gaceta Óptica

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